Negli anni cinquanta gli Stati Uniti vennero attraversati da quello che può essere considerato uno degli ultimi esotismi del mondo moderno: la mania per tutto ciò che riguardava la Polinesia, in una sola parola il Tiki. Questa bizzarra passione, che si diffuse a tal punto da estendere la propria influenza ad abbigliamento, musica e balli, cucina e cocktail, arredamento e persino architettura, è documentata in “The book of Tiki”, libro edito dalla Taschen. Per quanto oggi del tutto dimenticata e oggetto soltanto di un revival moderato, questa esotica fascinazione colpì profondamente gli Stati Uniti che videro nella cultura polinesiana, come già a suo tempo il pittore Gauguin, un baluardo contro la civiltà moderna e il progresso forzato. Tradizioni ancestrali, mitologia primitiva, vita semplice e a contatto con la natura, questi i capisaldi che colpirono l’immaginario degli americani. Fra i simboli più rappresentativi c’era appunto il Tiki, rappresentazione stilizzata di corpo umano in forma di divinità, che trovò posto praticamente dappertutto: dalle insegne alle tazze, dalle lampade a vere e proprie sculture dall’aspetto imponente. Anche gli esercizi commerciali si adeguarono presto alla moda imperante, così se lo Sheraton costruì un hotel completamente in stile, in un batter d’occhio si “polinesizzarono” anche numerose sale da bowling e bar. Questi ultimi in particolare si dimostrarono un luogo ideale, visto che lì era possibile mettere insieme cocktail esotici, spettacoli di danze e musica suonata dal vivo. Alcune band infatti, provenienti perlopiù dalla scena surf, innestarono elementi esotici dando vita a una sorta di “polynesian pop”. A metà degli anni sessanta, imprevedibilmente come era arrivata, la moda decadde. Caratterizzato da un apparato iconografico molto ampio e ricercato, come gran parte dei volumi editi dalla casa editrice tedesca, “The book of Tiki”, si apre con una citazione di Picasso, la cui fascinazione per l’arte primitiva lo spinse a dire: “Il buon gusto? Che cosa terribile! Il buon gusto è il nemico numero uno della creatività”. Con il Tiki il rischio, da quanto si apprende scorrendo le pagine, è senz’altro scongiurato visto che tra pelli di leopardo, maschere tribali, tessuti ultrapsichedelici e oggettistica kitsch l’ultima cosa a rischio sembra proprio la creatività.
Presto arrivò l’integrazione dell’idea in musica, da artisti come Martin Denny che mescolò l’idea del Tiki attraverso il jazz mixato con il polinesiano, l’asiatico, gli strumenti Latini e i temi “tropicali”, insieme ad altri artisti che crearono il genere di Exotica come Les Baxter e Artur Lyman. Questa musica mescolò gli elementi di ritmi afrocubani, strumentazioni insolite, suoni ambientali e temi romantici dai film di Hollywood, chiamati con titoli evocativi come“Jaguar God“ in un ibrido culturale che non era natio di nessun luogo.
La cultura pop-exotica del Tiki negli USA ha goduto di recente di una rinascita di popolarità, e le “Tiki mugs” (tazze), le “Tiki torches” e tutti gli oggetti che riguardano la cultura Tiki in generale che avevano ormai raccolto la polvere nei negozi, sono ora largamente divenuti dei ricercatissimi articoli di grande valore.
Tutte le immagini sono state reperite in internet e pertanto ritenute di pubblico dominio, se ve ne sono coperte da copyright segnalatecelo e saranno citati i rispettivi autori o detentori del copyright, oppure verranno rimosse.
All the images are been retrieved in internet and therefore retentions of public dominion, if they are covered by copyright please signal it to us and the respective authors or copyright holders will be quoted, or they will be removed.
Devi effettuare l'accesso per postare un commento.